Il Presidente Omceo di Parma sottolinea come uno dei grandi assenti in questa campagna elettorale, e soprattutto nelle agende di molte formazioni politiche, sia proprio il tema della Sanità.
di Pierantonio Muzzetto
Il futuro del Ssn per Bersani, Berlusconi, Monti e Grillo, riportava un flash d’agenzia il 17 gennaio scorso e i nodi da sciogliere dopo il 25 febbraio: <Rilanciare il SSN con la difesa della sua natura vocazionale pubblica, con ispirazione, ci viene da dire, ancora antropologica>.
Parole scritte che per molti addetti sono state di speranza ma per altri sono suonate retoriche e soltanto propagandistiche: da campagna elettorale, insomma. A testimoniare che si tratta di parole è stato il rilievo che nelle agende, che fa più tendenza del solito e poco paludato “programma elettorale”, di alcune formazioni politiche la sanità ha brillato ma solo per la sua assenza. All’interno di uno di questi schieramenti alle parole scritte non si è fatto mistero di preferire quelle verbali, molto più diffusibili nell’etereo mondo sociale. Quale miglior argomentazione di qualche illustre leader il dire che la sanità è un fatto solo delle Regioni, con ciò perdendo quella necessaria importanza nazionale data la forte connotazione federale.
Concetto che ci fa scoprire, non senza meraviglia, che pure senza modifiche della Costituzione le nostre regioni sono federate, per di più coese per una forte connotazione sanitaria. E in questo ambito "I costi dei beni e dei servizi, ivi compreso il costo del personale, in tutte le Regioni e gli enti pubblici, devono essere relativi al valore più basso". Così siringhe e termometri devono avere lo stesso prezzo in tutta Italia, e in senso generale i costi devono abbassarsi e il SSN dev’essere profondamente riformato. Altri concordano sull’adagio di fondo che “la sanità deve rimanere pubblica”. In verità sarebbe più giusto dire che forse lo era ai tempi della compianta 833/78. Ma quella vecchia e gloriosa Legge ormai la si piange, defunta, dopo la “doppietta legislativa” 502/517, la Legge sulla liberalizzazione, e quella recentissima della spending review e la scure bondiana, stile industria nostrana.
Di contro, verba volant, pur col riconoscimento di indubbi pregi della sanità italica, si postulano maggiori investimenti per ammodernamento e maggior sicurezza della rete ospedaliera e anche più strutturati LEA ma che siano livelli essenziali d’assistenza nuovi ed efficaci. Il tutto nel nome di quel: fuori la politica (partiti) dalle nomine in sanità.
Strano ma bellissimo se accadesse davvero, visto che le leggi che si sono avvicendate dopo la citata 833/78 avevano come indubbio presupposto proprio l’allontanamento dei politici dalle scelte sanitarie e che una regionalizzazione forte lo ha di fatto vanificato.
La verità è, e lo si riconosce sconsolatamente, che di ricette nuove non ce ne siano: ci sono invece, in forma palese o velata, i soliti ticket, generalizzati o reddito-relati. Comunque li si rivolti sempre di esazione di tributo dal cittadino si tratta. Anche quando i più immaginifici parlano di strane formule o progetti come ad esempio l’ISEE o meglio la sua riforma. Che, tradotto per i comuni mortali, altro non è che l’Indicatore della Situazione Economica Equivalente, con finalità il giustificare la contribuzione compartecipata (e sempre di ticket si tratta) "per rendere più obiettivo e trasparente l'accesso alle prestazioni agevolate di oltre 20 milioni di italiani, con una particolare attenzione alle famiglie numerose e per quelle con figli molto piccoli”.
Di là da considerare esaurito l’argomento con la contribuzione alla spesa sanitaria non si può non considerare che i tempi futuri in ambito sanitario saranno duri, anzi durissimi trovandosi di fronte ad una duplice scelta: “O cercare di conservare il welfare state com'è, rassegnandoci a tagli e riduzioni di servizi per far fronte ad una spesa sempre crescente, o provare a rendere il sistema più razionale e aperto all'innovazione". In tutto questo recente argomentare i sistemi sanitari, pubblico e privato, sono oggi messi in discussione, minandone la coesistenza, ed entrambi sono al vaglio della politica, che ha già provveduto al taglio degli sprechi e pretende un miglior utilizzo delle risorse.
Le Regioni sono sempre al centro delle dispute, non solo per le politiche espresse che improntano l’assetto sanitario nazionale, visto che proprio la devoluzione regionale determina stanziamenti disomogenei e va contro l’universalismo dell’assistenza, divenendo in questo modo un fattore di diversità sanitaria e, a seconda delle politiche seguite, privilegia o meno le risorse da assegnare al pubblico o al privato. Non paiono essere certo i ticket, oppure i generici al posto dei farmaci brandizzati, oppure l’esclusione dai finanziamenti della sanità privata e di quella convenzionate, oppure la separazione delle carriere dei medici ospedalieri pubblici da quelli privati, la ricetta (panacea) della rinascita della sanità nazionale e di quella pubblica, in particolare. La scarsità degli enunciati delle compagini politiche dimostra una mancanza di una visione globale del concetto di “valore” della salute, che alla fine è troppo spesso considerata solo una voce di spesa nel bilancio della nazione e non un bene reale da preservare ed incentivare.
Come vanno incentivate le nuove generazioni di medici, che devono avere la speranza di un futuro professionale, impegnati in una missione che è alta, e per farlo ci saremmo aspettati di leggere l’impegno di garanzia dello studio, della ricerca e della didattica nel SSN con rivalorizzazione, e non con la sentenza di morte, dell’università e dell’insegnamento della medicina.
Ma per dare chiarezza bisogna averla.
Ci saremmo aspettati almeno queste semplici parole, dette senza enfasi. In campagna elettorale non sono state dette ed è stata tolta la speranza di una rinascita. E, dopo le elezioni, ci sarà ancor più la necessità di un’inversione di tendenza in ambito politico, privilegiando le necessità reali ai semplici giochi di bottega, sebbene in essa si venda una mercanzia una volta non rara come lo è adesso: la Politica. Ma quella vera e nobile, se si può ancora dire. Nel nome della preservazione dei valori non negoziabili che vedono nella salute e nella sua difesa un elemento indiscutibile di civiltà. Non solo politica, dunque.