La sanità malata necessita d’interventi. Le cause e i rimedi
Intervista al Presidente Pierantonio Muzzetto
Le novelle legislative ultime, dalla Responsabilità, alle Dat e al riordino degli Ordini hanno segnato la linea Maginot della professione medica, attaccata da più parti e sacrificata sull’altare del “tutti insieme appassionatamente”, uniti nel task shifting, confusi nelle competenze più avanzate in altri ruoli, dal verbo regionale e dalle argomentazioni dei postulatori del cambiamento.
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Intervento del Presidente Omceo Parma Pierantonio Muzzetto a Rimini in occasione della III Conferenza della Professione – “Guardiamo al Futuro: quale medico, quale paziente, quale medicina nel SSN?”, organizzata da Fnomceo
A partire dal 12 maggio del 1820, data della nascita Florence Nightingale, riconosciuta come l’iniziatrice delle scienze infermieristiche, si è andato costruendo nel tempo il sistema di rapporti fra medici e altre professioni, in un chiaroscuro di competenze e aspettative tutt’altro che definite.
Si parla insistentemente di lavoro multidisciplinare e in sanità si delinea una tipologia di lavoro multi professionale, la cui definizione dipende da una serie di variabili formative.
Si devono infatti considerare gli aspetti della conoscenza, delle abilità e quelle proprie dell’agire, in relazione alla necessità di dover garantire un’indubbia sinergia d’interventi.
Oggi è evidente quanto sia bassa la considerazione della professione medica, e ne sono testimonianza ad esempio le modifiche apportate in sede parlamentare agli articoli della proposta di legge sulla Responsabilità, in cui il primo risultato è stato depennare il sostantivo “medico”, per far posto al termine “sanitario”, attribuendo così quegli elementi caratterizzanti i camici bianchi a tutte le professioni.
Si è quindi chiamati a vedere il futuro della professione in un ambito non più di esclusività, ma piuttosto di confronto e di mediazione con le altre realtà professionali, in un clima però d’incertezza su chi abbia le prerogative del fare.
E le “avanzate competenze”, rese possibili dalle peculiarità formative delle regioni, se usate impropriamente come strumento che scardina gli attuali equilibri formativi, diventeranno proprio un limite per un corretto rapporto interprofessionale.
Nel futuro invece si auspica un sistema “adulto” di rapporti professionali, incentrati sulla collaborazione piuttosto che sull’acquisizione di autonomie assolute. Un sistema di collaborazione cioè dovuto alla partecipazione di varie figure, che agiscono sì in autonomia ma “di scala” o per meglio dire subordinata ad un sistema coordinato d’interventi in cui vi siano titolarità e responsabilità differenziate.
È lecito allora chiedersi: quali sono i rapporti che devono intercorrere fra le professioni? Nel sistema organizzato delle professioni, Choic, in un lavoro pubblicato nel 2006 su Clinical & Investigation Medicine, parla di tre approcci: multidisciplinarietà, interdisciplinarietà e transdisciplinarietà.
In particolare, trattando la multidisciplinarietà, l’aspetto caratterizzante è la complementarietà e l’indipendenza professionale, che si manifesta nella collaborazione; quanto all’interdisciplinarietà, si parla invece d’integrazione e di meticciato dei saperi; mentre nella transdisciplinarietà predomina l’aspetto dell’interscambiabilità e si realizza l’integrazione totale.
Perciò in ambito interprofessionale oggi si ritiene che la scelta forse più realistica e rispettosa delle peculiarità e delle diverse professioni sia proprio la multidisciplinarietà.
Sempre rimanendo nell’ambito dello sviluppo professionale e del riconoscimento dei valori, occorre prevedere un riassetto delle funzioni lavorative con assetti professionali omogenei e coerenti evitando, nella fattispecie, percorsi formativi atti a giustificare “performances superiori in altri ruoli".
Si tratta di un aspetto tutt’altro che secondario, perché tali politiche del personale vanno a vanificare gli assetti lavorativi, come anche i ruoli e le funzioni, finora determinati da un processo di formazione del pre e post laurea tradizionali. Creando di fatto nuove figure e nuove competenze lavorative, con riverbero non certo positivo in ambito sanitario.
Oggi si può parlare di responsabilità delegate derivanti da autonomie graduate in un sistema collaborativo “di scala”, che va contro ogni irragionevole ipotesi di task shifting in sanità che è esattamente l’opposto della preservazione della qualità degli interventi sanitari.
Pertanto, al fine d’arginare talune derive della formazione, occorre procedere a una revisione della formazione universitaria sia nel pre che nel post laurea, con una diversa partecipazione del SSN e regionale. In tal senso si considerano inalienabili due principi: la necessità di core curricula che siano nel contempo omogenei e coerenti in tutte le Facoltà mediche e delle professioni sanitarie, e, come secondo principio, il reale peso da dare alla formazione di tutte le professioni.
Inoltre non si può prescindere da una terza considerazione: non è concepibile porre sullo stesso piano 11 anni formativi del medico con i 3 anni di corso delle professioni sanitarie. Indipendentemente del QI dei singoli.
Per questo da anni si propone un’armonizzazione dei saperi, secondo criteri di distinzione che seguano l’assioma “crescere nelle differenze”, che presuppone, a cascata, formazione specifica, competenze specifiche e altrettante responsabilità specifiche. Questo porrebbe un argine alla crescente conflittualità tra le professioni, perché andrebbe a definire, per ciascuna, i limiti d’azione, quale strumento identificativo di ruoli e funzioni, con la gradualità delle responsabilità.
In conclusione occorre avere il coraggio di difendere i valori della professione medica ispirata a principi etici, non sia subordinata a interessi diversi dalla peculiare gestione della salute.
Dove saremo collocati da chi oggi decide sopra le nostre teste?
Ogni risposta è legittimata dal nostro atteggiamento e dal valore che sapremo dare al nostro essere medici. Adulti e consapevoli con un occhio attento al nostro agire che si riverbererà sulle future generazioni. Di cui e sul cui futuro abbiamo indubbia responsabilità.
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