La sanità malata necessita d’interventi. Le cause e i rimedi
Intervista al Presidente Pierantonio Muzzetto
Le novelle legislative ultime, dalla Responsabilità, alle Dat e al riordino degli Ordini hanno segnato la linea Maginot della professione medica, attaccata da più parti e sacrificata sull’altare del “tutti insieme appassionatamente”, uniti nel task shifting, confusi nelle competenze più avanzate in altri ruoli, dal verbo regionale e dalle argomentazioni dei postulatori del cambiamento.
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Il medico dopo Rimini 2016
Acquista sempre più maggiore valenza il fatto che il sistema sanitario sia mutato dopo la modifica del titolo V della Costituzione del 2001, con cui si riconoscono in particolare le autonomie locali quali enti esponenziali preesistenti alla formazione della Repubblica: I Comuni, le Città metropolitane, le Province e le Regioni che sono perciò considerati a pieno titolo enti esponenziali delle popolazioni residenti in un determinato territorio e tenuti a farsi carico dei loro bisogni.
Una visione che vuol essere paradigmatica di una più puntuale politica di gestione che, partendo dal basso, risulti per essere più vicina al cittadino. Così nelle aspirazioni del legislatore.
Se queste erano le aspettative però la realtà è ben diversa e tale modifica costituzionale ha determinato piuttosto una variazione dei paradigmi della salute e della sua gestione, attraverso la creazione di fatto di 21 sistemi sanitari, fra loro malauguratamente diversi e diversificati nella concezione e nel governo, con una disomogeneità d’interventi, che di fatto vanno vanificando ancor oggi il significato della riforma sanitaria ultima (Bindi).
Per taluni al punto da essere considerata fallita, avvalorando i giudizi espressi fin dalle premesse, evidenziando carenze organizzative e gestionali determinata dalla visione orizzontale degli interventi e dei rapporti fra le figure professionali, come anche dell’allocazione delle risorse e del personale, all’insegna della concorrenzialità dei sistemi regionali e periferici della salute.
Le direttrici di spesa e risparmio.
Un sistema sanitario che nei fatti è sempre più incentrato su due direttrici di sostanza: il risparmio su personale e mezzi e la riduzione degli stanziamenti.
È di questi giorni la reiterazione del concetto che la salute sia una spesa dello Stato su cui intervenire con ulteriori restrizioni budgettarie anche se ciò stona con la realtà sanitaria del Paese e con il fatto che sempre più si assista ad un impoverimento delle famiglie e dei cittadini che evitano di curarsi.
E come il cane che si morde la coda, a fronte della progressione delle patologie croniche cresce la domanda, calano la risposta e le risorse. Non certo la soluzione proposta come ad esempio la gestione integrata delle cronicità, può risolvere efficacemente i problemi dovuti all’aumentata età media della popolazione e ala necessità di un guadagno in periodi/anni di benessere in termini di salute effettiva.
Ma nel corso di quest’ultimo quindicennio si è acuita la contrapposizione “politically incorrect” fra medici e professioni sanitarie, e non personale sanitario, quasi che questa definizione sia una desautorazionee addirittura un misconoscimento di ruoli e funzioni o di piena autonomia. Che non può essere che “di scala”, non solo perché rispondente a una visione etica e responsabile dell’agire in ambito sanitario, in cui vige un sistema di collaborazione e di gradazione delle responsabilità dettate dalla necessità di vedere applicata una complementarietà nell’insieme dei rapporti in cui i ruoli siano ben definiti.
Il sistema etico
Quando si parla di visione etica non ci si può certo esimere dal considerare il corretto rapporto che intercorre fra scienza e tecnologia con diritto e persona. Il comun denominatore è la persona a cui devono riferirsi gli interventi, al fine di garantire la sopravvivenza dell’intero sistema universalistico delle cure, che le varie leggi di Riforma sanitaria hanno comunque preservato, pur fra loro con visioni diametralmente opposte.
La professione medica oggi risente di un dissidio fra aspettative di salute e onnipotenza delle cure, in cui l’opera del medico ha un valore salvifico garantito, cosicché ogni risultato che sia parziale esiti suona piuttosto come un fallimento dovuto alla poca perizia, se non proprio negligenza.
In un ambito di onnipotenza e onniscienza si acuisce il dissidio fra scienza, prassi, perizia e giustizia, così da portare nelle aule giudiziarie ciò che in passato veniva trattato in ambito congressuale fra esperti, riguardo situazioni palesate come eccezioni alla norma e come complicanze non preventivabili o manifestazioni di patologie fino ad allora non ben conosciute. Ieri anomalie da studiare per prevenirle in futuro, oggi responsabilità legate a imperizia e negligenza, al mutare dei costumi e del giudizio.
L’incertezza della professione medica
Oggi si delinea una situazione d’incertezza della professione per cui cresce il divario fra desiderio d’agire una professione medica desiderata e il freno all’esercitarla per una motivazione meno nobile che è la paura. Determinata dal crescere del contenzioso e dalla poca considerazione per la professione di medico che nell’ultimo ventennio si è registrata proprio per l’interpretazione del suo ruolo data dalla cittadinanza e dalla stessa magistratura.
La caduta della considerazione della professione medica, con responsabilità all’interno della famiglia medica, cambia l’approccio al problema colla necessità di una riconquista etica della funzione e del ruolo sociale del medico, inserito in un sistema di valori, quali equità e sicurezza della cure.
Determinate dall’autonomia e dalla responsabilità del Medico rispetto alle altre figure professionali, sulla scorta della formazione e dell’esperienza e non solo in forza di un riconoscimento gerarchico o legislativo.
Perciò va modificato integralmente il significato di integrazione e di leadership, che così facilmente si prestano a varie interpretazioni.
Le visioni nel sistema integrato
Nel parlare d’integrazione all’interno del sistema sanitario deve prevalere il concetto che la visione interdisciplinare, multi-professionale, deve essere funzionale al concetto di compartecipazione e non di esclusività nel complesso sistema d’intervento, in cui sono fondanti e non limitanti le diversità.
Diversità che si espressione di complementarietà nel processo coordinato e continuativo degli interventi, al cui raggiungimento concorrono tutte le figure professionali che ne sono investire, ma assolutamente in modo differente, nel rispetto della peculiarità dei ruoli e delle funzioni finalizzate allo stesso obiettivo.
Col piglio di crescere nelle differenze senza dar sfogo a conflitti dovuti alle differenze.
Una valutazione che passa certamente dalla formazione e dall’aggiornamento, colla diversità dei piani formativi universitari, richiamando l’Accademia a fare tesoro delle diversità e a lavorare per lo sviluppo teorico pratico delle conoscenze senza che si creino inutili e perniciosi doppioni professionali.
O che s’ingenerino false aspettative nei vari attori che si diplomano, che vedono nel titolo di dottore, peraltro comune a tutte le lauree, una sorta d’accreditamento alla funzione di medico, che non può derivare peraltro dalle specializzazioni conseguite dalle professioni sanitarie dopo il triennio formativo di base.
Adattare la professione alla nuova realtà socio politica
Il cambiamento del welfare in base alle risorse impone alla professione una presa d’atto della nuova realtà sociale, in considerazione del fatto che la politica di gestione dei costi e delle risorse impone una revisione degli obiettivi di sviluppo, modulando gli interventi proprio sulla programmazione economica e sulla compatibilità di gestione.
Anche la visione politica delle responsabilità nel determinare la figure del leader e la leadership rispondente alle necessità organizzative regionali trova sparuti consensi nel mondo medico e accademico. Ingenera dubbi sulle funzioni, senza tener conto dei percorsi formativi peculiari e pone impropriamente le professioni sullo stesso piano, per di più trova ulteriore conferma nella proposta legislativa sulla responsabilità professionale quando accomuna impropriamente tutti gli attori nella definizione di “esercenti le professioni sanitarie”.
Ogni definizione di leadership funzionale non semplifica il quadro ma altera i rapporti esistenti in un sistema complesso e finalistico e non può avvalorare in alcun caso funzioni che vanno ben oltre le competenze di base. Competenze che vanno ben oltre il riconoscimento del ruolo e della formazione specifica e fanno pendant a quell’integrazione con cui si giustificano le cosiddette innovazioni sanitarie regionali, assegnando al personale non medico funzioni di base indipendentemente, e al di sopra, delle reali posizioni ricoperte e della formazione di base per l’esclusiva necessità di amministrare in isorisorse.
Da qui deriva il concetto di team o di équipe che va comunque reinterpretato nel senso che le posizioni devono essere preordinate e le competenze individuate, graduate e specificate. Con assegnazione precisa dei ruoli e delle specifiche responsabilità non è proponibile un’altra articolazione, perché significherebbe svilire la funzione del medico e la qualità degli interventi a garanzia della salute.
Così da far dire: tutti non possono fare tutto e la leadership in sanità non si vota o si stabilisce a maggioranza. Nemmeno nelle équipe d’ispirazione regionale.
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